domenica 4 maggio 2008

Il demone dell'ego


Competitivo e calcolatore
camaleontico e sornione
impettito e indispettito
avvolgente e avvinghiante
sfuggente e onnipervadente.

Amo gestire e controllare
soggiogare e possedere
domare e devitalizzare.


Sono il demone dell'Ego


Gerarchia costituita,
istituzionalizzata,
nutrito dal disagio corporeo
della parola che ignora l'interlocutore.

Non m’importa dell’alterità
me ne frego dell’altrove.

Mi piace mostrarmi,
definirmi, citarmi,
per essere ricordato e osannato,
celebrato e amato,
venerato e temuto.

Nello sfondo …l’immortalità,
la voglia di esserci,
per sempre,
comunque e dovunque
contro il cambiamento
contro le leggi del cosmo e della vita....

Perchè io sono L'Ego.....
motore della storia
signore del divenire.

Promotore di antiche battaglie,
rivendicative e invasive,
nei difformi ruoli dell’essere.

Prima servo..ora sovrano
di nuovo santo poi… diavolo....
...ruoli antitetici..indistinti,
affacciati sui mondi in conflitto.

Dolore…….
di scontro e di morte io sono
nella lotta inesausta
al mio segnato destino

Angoscia di morte incalzante
vi prego…..
non voglio esser carne per vermi !

Pasquale Del Giudice


sabato 3 maggio 2008

Intro


Cari tutti….

Ondate energetiche di perplessità, di stupore, d’inquietudine, sono giunti alla percezione intuitiva del nostro blog spot. com.

La causa? Il sottile dubbio di aver valicato ideali confini di comune intendimento nell’invito a poetare in maniera prosaica.


In realtà, e gioisco dell’equivoco, nessuno ha mai avuto in mente di dar vita ad uno spazio espressivo…a luci rosse ….evocando liriche ispirate….a tributo di geniali amplessi o passionali intrecci amorosi, quando piuttosto intendere la “prosaicità” non in termini di sconcio o volgare stilema ma nella sua accezione più autentica di libera interpretazione poetica fuori dallo schema metrico e dunque espressione senza confini o regole accademiche dei sentimenti dell’animo più genuini.

Proprio come l’innocente cerbiatto didascalico che sgambetta felice nei prati primaverili di Pontelandolfo !

Giocosamente Vostro
Pasquale Del Giudice




La Vera storia di Vera Jarich – vita esemplare di un’educatrice alla non violenza -

- Mi chiamo Vera Jarich e il mio nome lo dice, sono di origine ebrea . Mio nonno era ebreo. Abitavamo in Italia, a Venezia, fino all'avvento della seconda guerra mondiale, poi…quando nel 1939 Mussolini emanò le leggi razziali che escludevano gli ebrei da tutti gli ambiti professionali, culturali e sociali dello Stato Italiano, mio padre decise che quello era il momento di andar via, di lasciare questo paese che non ci riconosceva. Mio nonno che era molto più ottimista di mio padre disse che non c’era nulla da preoccuparsi e decise che lui invece in Italia ci sarebbe rimasto. Non volle lasciare questa terra a cui sentiva di appartenere, nonostante la sua diversità etnica e culturale. Ci imbarcammo su una nave a Genova, direzione Argentina, nuova terra, nuovi orizzonti, nuove speranze. Mentre la nave salpava carica di emigranti, mio padre preoccupato salutava il suo amato padre con il cuore gonfio di sofferenza e di preoccupazione. Chissà quando l’avrebbe rivisto!.-Parla con voce bassa e un po’ rauca Vera Jarich , si scusa con tutti, studenti e docenti: “Sono giorni che parlo, è normale che la voce mi abbandoni, ma quello che ho da raccontarvi è importante perché ciò che è accaduto una volta potrebbe accadere ancora” – Poi, sfodera un sorriso angelico, dolce e avvolgente e dimentichi che è un’anziana signora di ottant’anni, la vedi nella sua essenza interiore una ‘bambina’ che nonostante tutto ha ancora voglia di vivere, credere e sperare nei valori veri della vita. – Mio nonno non lo rivedemmo mai più. – Nel 1943 fu deportato nel campo di concentramento di Austwitzch dove morì come tanti altri ebrei, lasciandoci nel cuore l’ulteriore vuoto di non riavere la sua salma a cui dare degna sepoltura. Non so se avete chiaro a cosa serva il rituale della sepoltura. Esiste da millenni, si perde nella memoria dell’umanità e serve a ridare alla famiglia della salma la capacità di elaborare il lutto, di ricomporre nella propria anima , tassello per tassello la propria memoria interiore, una cosa importantissima per l’identità di una persona ma…noi non riavemmo mai il corpo di mio nonno”. - In Argentina ricostruimmo la nostra vita familiare e sociale e la vita sembrava scorrere tranquilla nonostante tutto. Fu nel 1976 che la situazione precipitò quando i Generali dei corpi armati dello Stato Videla, Massera e Agosti (tutti italiani) definirono la loro dittatura militare che durò dal 1976 al 1983, ‘ Processo di Riorganizzazione Nazionale’. Bisognava riorganizzare tutto l’ordinamento sociale, politico e culturale dello Stato per legittimare nuove regole e un nuovo ordine, che poi è vecchio quando il mondo, quello della sopraffazione dell’uomo sull’uomo, eliminando tutti coloro che credevano nella libertà e nella dignità umana. Libertà e dignità possono sembrare solo due parole, tra l’altro colme di equivoci in questa società dei consumi, ma se ci pensate la loro essenza indica il rispetto per se stessi e per l’altro. Un rispetto che passa attraverso tutto, la comunicazione, le relazioni, i gruppi sociali spontanei, le Istituzioni cioè la famiglia, la scuola, la società, l’economia e infine lo Stato. Dal 24 marzo 1976 l’Argentina decise di eliminare tutti coloro che avrebbero ostacolato anche solo con la loro presenza questo piano. Fu chiamato il Piano Condor. “…prima elimineremo i militanti, poi elimineremo i collaboratori, poi i simpatizzanti ed infine i timidi…” questi furono gli ordini dei tre generali. Il tutto però sotto silenzio. Il resto del mondo non avrebbe dovuto sapere, non ci sarebbe dovuta essere tanta pubblicità come era accaduto in Cile nel 1973. Tali erano gli orientamenti della comunità internazionale. I militanti erano tutti coloro che promuovevano i diritti umani e sociali, fossero di sinistra o cattolici aveva poca importanza – ciò che era importante era che essi esprimevano la loro opinione o il proprio sostegno a favore della dignità umana che prima ancora di essere un concetto etico-morale è un concetto religioso. ‘L’uomo possiede una dignità per il solo fatto di essere una creazione di Dio’ – almeno questo è ciò che dice la Bibbia e i Vangeli e anche i testi sacri delle altre religioni.. Fu così che silenziosamente sparirono 30.000 persone, un’intera generazione, quella degli anni ’50 tra studenti, insegnanti, psicologi e psicoterapeuti, avvocati, assistenti sociali e operai impegnati nel sindacato. E’ questo è ciò che oggi viene chiamato fenomeno dei desaparecidos. Sparivano, improvvisamente le persone sparivano, e non rientravano più alle loro case. Anche mia figlia sparì un giorno. Mia figlia aveva 18 anni, era una bellissima ragazza che sorrideva sempre perché amava la vita, militava nel movimento studentesca per una scuola più giusta , come tanti allora, e voleva diventare un’insegnante perché aveva capito che è dall’educazione che si forma la civiltà. Mia figlia sparì e incominciò il mio incubo. Cominciai a cercarla dappertutto, rivolgendomi a chiunque, amici, parenti, poi funzionari degli uffici, fino ad arrivare alle cariche più alte dello Stato, ma le risposte erano vaghe, mi rispondevano “…cosa vuole signora sarà andata via con il fidanzatino per qualche tempo…” e tante altre cose banali e superficiali che mi facevano percepire il muro, il muro del silenzio. Un silenzio che si ripiegava in se stesso ed entrava nella mia anima aprendo un abisso profondo, un abisso da cui percepivo che mia figlia non esisteva più, e da cui avrebbe voluto uscire un urlo, l’urlo del dolore e della disperazione di non ritrovare più mia figlia, viva o morta, di non riavere la sua salma per darvi degna sepoltura. Tre anni dopo, quando tra la gente cominciò a divulgarsi una minima conoscenza di quei crimini e misfatti, l’allora nunzio apostolico del Papa Mon. Pio Laghi ad una convocazione di noi Madres de plaza de Mayo ci disse: ‘ Certo, signore se le loro figlie sono via da tre anni, saranno state torturate molto e certamente non verranno rilasciate più”. Sorride ancora Vera Jarich mentre racconta il suo dolore e non si capisce da dove giunga quel suo sorriso angelico, nonostante l’orrore, racconta dei metodi di tortura, dell’addestramento dei carnefici cominciato qualche anno prima, delle esecuzioni dei voli della morte e di altro ancora…’Mi chiamo Vera Jarich, sono una delle Madri fundadore delle Madri di Plaza del Mayo, il movimento di protesta contro la dittatura Argentina. Il 24 Maggio festeggiamo la ricorrenza del nostro primo giorno di protesta, il giorno in cui noi Madres cominciammo a girare in fila indiana lungo il perimetro della piazza con le foto dei nostri figli al collo, perché solo questo ci era consentito fare. In silenzio, come tutto si era consumato nel silenzio. Raccontiamo la nostra storia per non dimenticare, per lasciarvi una memoria storica, tra di noi ci furono molti italiani, e soprattutto per dirvi che “…a nessuno di noi venne mai in mente di imbracciare un arma e cominciare un’altra guerra…perché la guerra non si può combattere con altra guerra…”

PS. Ho conosciuto Vera Jarich alla Biblioteca civica di Pozzuoli per la presentazione del Laboratorio di Storia diffuso – Ismli - Landis su Percorsi di Storia e memoria tra Italia e Argentina.

Non credo che la dimenticherò tanto facilmente.

Patrizia Esposito

lunedì 21 aprile 2008

La Rete degli Orti Comuni

Lavorare la terra in modo naturale è quella che Masanobu Fukuoka chiama la Rivoluzione che corre sul filo di paglia. La zen bio agricoltura, questa rivoluzione culturale profonda, modifica il corpo della Terra Madre, del Corpo Organico così come all'alba del Mondo apparve, in mondo che sia modificato anche il Corpo umano. E dunque il CorpoMentale del Mondo intero viene cambiato. In che modo lo cambia? Non in modo violento, appropriativo, distruttivo, ma lo modifica con soddisfazione di entrambi. C'è uno scambio specifico in modo che il lavoro umano (gyoji dotoku) diventi l'opera dei Buddha, vale a dire che colui che pratica il lavoro della terra (Samuzenga, il lavoro illuminato della terra), dona la sua opera alla terra e la terra in cambio dona il suo lavoro attraverso il dono dei frutti all'uomo. Umilmente ci pieghiamo alla Terra, riconoscenti, la lavoriamo, compiamo l'opera di scavo, di solcatura, di compostaggio naturale, di semina, e la Natura, il Corpo Femminile del Buddha, ci restituisce un frutto, la molteplicità dei frutti nel merito di ciò che facciamo. La Zen bio agricoltura è naturale, non chimica, protettiva e non invasiva. Dunque rispetta il ciclo bioecocompatibile della natura e del ciclo economico più in generale. Si pone il problema della protezione e del rispetto di tutti gli esseri viventi e di tutti gli esseri senzienti, cioè degli animali e delle piante. La Rete degli Orti Comuni mette insieme, associa chiunque abbia un orto, un pezzo di terra e ne trae vantaggio comune, supera l'egoismo del singolo e si associa nella Rete degli Orti Comuni, lavorando comunitariamente, allo sforzo economico, al benessere di tutti. E' dunque una rivoluzione economica, politica e culturale, profonda. Non è il ritorno alla terra. E' un modo di associare la terra, l'uomo, gli esseri viventi in un Luogo Comune che si avvale della tecnologia dolce come Comunicazione e Interazione comune. Tutto questo, nel meglio, è il corpo realizzato di tutti i Buddha. Non c'è pace, è illusorio parlare di pace e di amore, se non c'è una strategia della pace, nel lavoro laborioso della Terra ! Antropologicamente e culturalmente bisogna cambiare, lasciare il Corpo e La Mente abituale, e disporsi ad educare la Mente, Il Corpo Mentale, ai compiti globali degli uomini, senza separazioni di genere, razza e cultura. Siamo gìà oltre il capitalismo predatorio, siamo già oltre il socialismo realizzato, siamo nella Rete Comune dei bisogni e delle priorità. Siamo nell’economia mondiale solidale. Dunque fratelli e sorelle, lavoriamo con passione e laboriosità alla realizzazione della Rete Comune degli Orti, della Produzione e delle Attività per il bene degli uomini e delle donne del pianeta Terra! AI Lavoro, senza piagnistei e con spirito di disciplina. Il cammino è lungo ma l'orizzonte è luminoso! Lo zen non è una religione del pianto è la realizzazione del Lavoro sulla terra!!( Gyoji dotoku, arte laboriosa del Buddha gioioso). Alzate le travi carpentieri!, coltivate laboriosamente la terra agricoltori! nella Rete degli Orti Comuni. Zazen e tarma yoga nelle terre di Cuma. Meditazione e lavoro della Terra. Tutti al lavoro, nel silenzio e nella comunità, realizziamo il Corpo Mentale di tutti i Buddha, del passato e del futuro! Medicina del CorpoMentale naturale e trasformativa, unguenti naturali, massoterapia zen e luce di apparizione del Dharma: chi vede me, vede il Dharma, chi vede me , vede il Buddha! Tutti al lavoro, alla Creazione del Luogo Comune! Il Luogo che esalta e annulla tutte le differenze!! La Comunità che Viene, del tempo che Avviene!!!

Vincenzo Gengaku Crosio

Francesca Mirabella, responsabile della Zen Bio agricoltura, cell:338.1231959.

sabato 5 aprile 2008

Da giugno a settembre si fitta anche per brevi periodi

Bella casa rurale con terra di ulivi , querce , vigna e alberi da frutta, alle pendici del parco protetto del Pollino, splendida montagna da escursione a dieci minuti dal mare. La casa è composta da tre stanze, salone, cucina, due bagni e bello spazio esterno.
Si può parcheggiare e si possono portare animali. La macchina è necessaria.
Il contesto è contadino e i vicini sono molto affettuosi e gentili.
Si fa ancora il pane alla maniera tradizionale, si allevano soprattutto capre e pecore e i bambini possono ancora imparare a divertirsi.
La frazione di riferimento è Buonvicino ( Diamante), ma la casa è a minore distanza da Maierà, splendido borgo antico.
Il mare da Diamante a Cirella o verso Belvedere Marittimo è bellissimo anche in piena estate e le spiagge sono libere per chilometri. A mezz'ora circa Maratea.

Per ulteriori informazioni scrivete a Mascia Marini e-mail ma.marini@libero.it
tel. 081 2404539 Cell. 3207623201

0 commenti

lunedì 31 marzo 2008

L'incoerenza della comunità Internazionale

I diritti umani non sono intercambiabili. Questo è ciò che troviamo nei testi quando si parla di diritti umani. Non serve a niente assicurare cibo al popolo se poi questo diritto non è accompagnato dalla libera manifestazione del pensiero sia esso religioso, politico o culturale. Ricordo che quando nel 1992 mi recai in Cina notai con mio sommo piacere che per le strade di Pechino mancavano i mendicanti, mi dissi che forse l'assicurare cibo a tutti voleva un prezzo, e questo prezzo si chiamava libertà. Ma girando per le strade e incontrando frequentemente polizia di Stato ed esercito mi resi conto che certo non doveva essere molto piacevole abitare in un luogo dove le libertà erano tabù. Era solo da qualche anno avvenuta la strage di Piazza Tienanmen e osservandola nella sua grandezza mi resi conto di quanto barbara doveva essere stata quella repressione. Non trovo dunque assurdo che oggi il governo di Pechino stia reiterando un antico comportamento, visto che in questi anni non ha fatto niente per modificare la struttura del proprio Stato-apparato. Stessa chiusura a una partecipazione democratica del popolo alla vita politica, stessa negazione dei diritti umani. Ancora oggi il governo di Pechino vanta ben 2.000 esecuzioni all'anno continuando a praticare le più assurde aberrazioni nonostante un capitalismo avanzato affermatosi negli ultimi dieci anni. Mi meraviglia molto di più, perciò, la decisione della Comunità Internazionale di confermare, dopo i recenti fatti del Tibet, l'organizzazione dei giochi Olimpici alla Cina, patria della negazione e della violazione dei diritti umani; quando poi le Olimpiadi sono nate proprio per incentivare la pace tra i popoli. Forse era questo che non doveva accadere, forse è la coerenza che dovremmo chiedere alla Comunità Internazionale, quella di non dare le 'perle ai porci' se crediamo ancora nei valori dei Diritti dell'uomo e del cittadino.

Patrizia Esposito

martedì 25 marzo 2008

.. per l'autodeterminazione politica del popolo tibetano



APPELLO PER IL TIBET

STOP ALLA REPRESSIONE IN TIBET

DIFENDIAMO IL POPOLO TIBETANO E LA SUA CULTURA

PATRIMONIO UNIVERSALE DELL'UMANITA'

Una brutale repressione dell'inerme popolazione laica e monastica del Tibet è in corso. E' una tragedia che si sta consumando nel silenzio e nell'oscurità: non filtrano notizie dirette, è assolutamente impedito l'invio all'estero delle immagini di queste inaudite violazioni dei diritti umani da parte del governo cinese. La Comunità Internazionale non può rimanere passiva di fronte a questo bagno di sangue e al genocidio culturale di una popolazione la cui unica colpa è quella di chiedere libertà religiosa e il rispetto delle proprie millenarie pacifiche tradizioni.

CHIEDIAMO

- al governo cinese di porre fine subito a qualunque forma di violenza e repressione in Tibet e di ripristinare tutti i canali di comunicazione che sono stati interrotti;

- al Presidente del Consiglio On.le Romano Prodi e al Ministro degli Esteri On.le Massimo D'Alema di adoperarsi concretamente affinché il Consiglio di Sicurezza dell'ONU - di cui il nostro paese è membro - chieda immediatamente al Governo di Pechino di autorizzare l'ingresso a Lhasa e in Tibet di una Missione di Osservatori Internazionali che possa indagare, informare e intervenire sulle attuali violazioni dei diritti dell'uomo, tentando di favorire l'apertura di un dialogo per una soluzione pacifica del conflitto.

Firma l'appello per il Tibet sui siti http://www.artedellafelicit%c3%a0.it/ oppure su http://www.modernissimo.it/ e fallo circolare

Patrizia Esposito


sabato 9 febbraio 2008

Il nuovo statuto delle associazioni periferiche


Domenica 17 febbraio ore 9.00. Incontro a Fudenji con il maestro Guareschi.
Discussione intorno al nuovo statuto organizzativo dei gruppi periiferici.
Per info: 3336955827 oppure 0815286479 ore 20.00 Pasquale
La partenza per Salsomaggiore Terme è fissata per sabato mattina

domenica 20 gennaio 2008

Un sogno per Napoli



L'inizio del nuovo anno mi ha regalato un libro, un libro di Daisaku Ikeda il fondatore della Soka Gakkai... il libro è una fiaba si intitola: “ I tesori di Dunhuang”. Sono stata a Dunhuang nel 1992 quando un mio amico filomaoista dirottò il nostro viaggio extraeuropeo dal Madagascar alla Cina. Decidemmo di fare così la via della seta, quella che da Kashgar giunge sino a Xian, la città dell'esercito di terracotta. Non avevo assolutamente idea di cosa fosse il buddismo,allora. Forse avevo letto qualche aforisma di Ghandi a proposito di esso ma sinceramente... nella fredda e ortogonale città di Milano in cui allora vivevo, non rientrava nei miei propositi praticarlo. E incontrai la via del Budda sulla via della seta nella lontana Cina. La fiaba racconta la storia di un bambino che sogna di finire in un altro stato della Cina a scoprire nuove realtà, per l'appunto lo Xingjan, dove si trova Dunhuang. Lui sogna di finire in pieno deserto del Gobi e di incontrarvi un vecchio che disperatamente e immancabilmente cerca di proteggere il castello della città cercando di costruirvi delle mura, solo che lo deve fare con la sabbia e la sabbia è difficile da impastare e incollare. Lui vuole proteggere il castello dal vento e dalla sabbia stessa che con la sua sottigliezza si insinua e nasconde ogni cosa. Il bambino allora lo aiuta, vuole imparare a proteggere anche lui qualcosa di prezioso e soprattutto imparare da quel vecchio saggio. Il castello conteneva dei tesori inestimabili, grotte piene di affreschi sulla vita del Budda e situazioni di beatitudine, una natura inviolata e iridescente che solo le tecniche di pittura cinese sanno rendere. Dicevo, sono stata a Dunghuang non esiste alcun castello, esiste una valle enorme in cui lungo la strada sono disposti in fila templi della fattezza delle pagode cinesi altissimi, in ognuno di essi è una luminescenza di arte, storia e sapienza. Ricordo, di essere entrata in uno di essi, il più alto per l'appunto, uno di quelli che se fosse un palazzo lo descriveresti di dieci o quindici piani, e mi sono scontrata, dopo aver accettato il buio, con l'alluce di un Budda gigantesco. Un particolare che inizialmente non mi diceva niente, continuavo a ripetere tra me e me, "... e che c'è qua dentro, niente!" poi improvvisamente una folgorazione, riconobbi l'alluce ed alzai gli occhi al cielo verso quel gigantesco Budda che sorridente ci guardava dall'alto. Le grotte invece sono a BezeliK vicino Turfan, una cittadina a 180 m. al di sotto del livello del mare, in pieno deserto sabbioso, le grotte, monastero di monaci che sceglievano la solitudine più assoluta, un tempo dovevano essere ricche di affreschi, ma ormai dopo il 1800 erano state spogliate da essi, perché un tedesco archeologo le aveva scoperte. Gli affreschi infatti si possono trovare al museo etnologico a Berlino, ho avuto il piacere di vedere anche questi. La favola però non finisce così, il bambino e il vecchio riescono a mischiare un'acqua che miracolosamente sgorga dal deserto con la sabbia, e creare dei piccoli mattoni di fango per farne un muro. Il vecchio con la sua logica riesce anche a dissuadere un condottiero del deserto che trovandosi da quelle parti e comprendendo il valore degli affreschi, vuole staccarne qualcuno e portarselo via. Gli dice che ogni scena racconta una parte della vita del Budda e che siccome sono più di 450 dovrà portarli via tutti. O tutti o nessuno. Il condottiero desiste e lascia intatto il tesoro del castello di Dunhuang. Mi sono chiesta come mai il mio nuovo anno è cominciato con questa favola, ora che mi sforzo di praticare la meditazione. E allora ho pensato alla mia amata e odiata città. Il nuovo anno è cominciato con un'altra crisi spazzatura e la città è devastata, la gente è rassegnata o inviperita, e l'atmosfera che si respira è inquinata sotto tutti i punti di vista, ambientale e non. Cerco di andare avanti e spero anche io di trovare un modo per difendere questa città esplosiva, vulcanica, fremente, un modo che sia fluente dove le ombre e le luci si accarezzano più che combattersi, ho anch'io un sogno, un sogno di pace e di dignità per la mia città.
Baci a Pasqualotto

Patrizia Esposito

…c’è bisogno di qualità di uomini e donne, lontano dai riflettori…….



Carissimi, quello che si bisbiglia ormai nella nostra regione è ... "letame"... tutti parlano accusandosi l'uno con l'altro e nessuno agisce... la città è devastata, spezzata, blindata, separata da frontiere invisibili che ha chiuso nel proprio 'recinto' tutte le persone, quelli che hanno la fortuna di abitare in quartieri puliti e privi di spazzatura non comprendono gli altri... è la società di classe e forse potremmo dire di casta che in questo degrado e in questa desolazione viene illuminata prepotentemente. E questa devastazione della comunicazione, della comprensione e della solidarietà mi ferisce ancora di più della spazzatura per la strada. Sento che è un momento di grande crisi epocale, che la regressione che stiamo vivendo è addirittura di quattrocento anni quando nel seicento a Napoli, come pure in altre città venivano perpetrati misfatti di ogni genere... Qui tutti stanno impazzendo, la rabbia accumulata esplode improvvisamente, anche perché la camorra che è il male endemico e oscuro della nostra regione sa come usare la rabbia della gente... La risposta delle Istituzioni è polizia, arresti, procedimenti con rito abbreviato su tutti indiscriminatamente, oppure ricovero al reparto crisi dei Centri di igiene mentale con uso massiccio di psicofarmaci... nessuno pensa che se la popolazione manifesta un disagio, esiste una ragione ben precisa, e questa ragione è il degrado ambientale, civile e morale. La mia amica buddista di Roma mi dice che la situazione non solo in Campania ma in Italia è preoccupante aggiungendo che c'è bisogno di qualità di uomini e donne lontano dai riflettori... le rispondo che non so più dove cercare le mie qualità... riesco solo a vedere lo smarrimento sempre più profondo, negli occhi dei miei alunni e in cui, mi smarrisco anche io... Lei che ha una fede più grande della mia sottolinea che anche questa è una qualità perché saper vedere lo smarrimento è una 'qualità' poco illuminata al giorno d'oggi. Dobbiamo allora illuminare tutte quelle parti del corpo di beatitudine che ferocemente vogliono oscurarci... ed io che lavoro con gli adolescenti ho una bella opportunità per questo, mi chiedo che cosa intendo fare, e sento che il mio cuore mi risponde: “ infondi più speranza...” Non bisogna mai perdere la speranza che la giustizia trionfi mi disse un giorno di dieci anni fa una psicoterapeuta, ed io infatti cerco di non perderla, mi aggrappo a tutto, alla poesia, alla bellezza panoramica che vedo dal mio balcone, alle piccole ritualità quotidiane, alla meditazione con il gruppo, a questa opportunità che mi è stata data di comunicare con voi attraverso questo mezzo, solo così riesco a placare il mio furore che è immenso per quanto io ami la mia città. Come asserisce Illman " Più grande è il nostro deserto, più grande deve essere il nostro furore, e quel furore è amore".
Vi abbraccio tutti

Patrizia Esposito

L’incomunicabilità della comunicazione........

Una comunicazione emotiva che abbandoni l’angoscia di voler comunicare a tutti i costi è una buona notizia anche perché la difformità del messaggio semantico è una possibilità sempre in agguato tra mondi vitali in relazione. Solo quando l’insight emotivo, legandosi alla parola, si manifesta alla percezione intuitiva della coscienza illuminandola della comprensione profonda di un evento accade il cambiamento indotto dall'incontro realizzato. L’esperienza resta nell’orizzonte delle attese. La madre che prepara l’avvento, la fioritura del pesco, è la “Pratica Meditativa”, attraverso misteriosi percorsi di ricognizione e di riorganizzazione sistemica cerebrale. La parola, invece, rivela i suoi limiti proprio quando eccede nella verbalizzazione, quando vuol far tutto da sola proprio in ciò che da sola non può infondere senza il contributo dell'energia.
Ma la vibrazione energetica non ama la loquacità delle argomentazioni, gradisce, invece, momenti, luoghi inusitati, parole sussurrate, metafore e metonimie colorite, per sciogliere un intreccio edipico, un rapporto di possesso, attraverso il risuonare del verbo nel cuore dell’altro, corde tese sulla stessa frequenza di senso. L’ottimizzazione sistemica è completata, poi, dalla fiera postura in “zazen”, nel respiro che realizza la consapevole riflessività della mente. Lentamente, la Pratica quotidiana trasforma la relazione con l’ambiente, avvertito come realtà fenomenica e non come verità oggettiva esterno all’osservatore, ripulendolo dalla menzogna proiettiva della paura. Il dolore dell’anima diventa il vero protagonista della ricerca del “” nella prospettiva salvifica dell’ordine cosmico. Col tempo si strutturano modificazioni profonde, autopoietiche, costituendo legami sinaptici fondamentali per le future riflessioni sistemiche. I contorni solidi dell’individualità si dissolvono e le sensazioni della limitatezza non ci opprime più. La scultura è a levare, a perdere informazioni, a liberarsi dalle antinomie culturali di decenni per far risplendere l’armonia dell’opera d’arte già insita nella natura stessa dell’uomo. Il “salto mortale di prospettiva” rimane un “evento”, un processo non pianificabile , né riproducibile, ma affidato al mistero della trasformazione a spirale. Nulla è dato sapere. Nulla è dato anticipare, quando, come, in che modo e con quali mezzi un nodo gordiano si scioglierà nel profondo. Solo il conforto della Pratica e il suo lavoro di purificazione, delicato e potente, ci rinfranca l’attesa.

Pasquale Del Giudice

martedì 15 gennaio 2008

Francesca Mirabella: un guardiano silente a "Ponte di Lanna"


Se il cibo rappresenta un elemento di conflitto in seno al gruppo, la storicizzazione della contesa serve a capire la centralità dell’alimentazione nella nostra cultura e la causa degli eccessi devianti che si manifestano negli inestetismi del corpo e …della mente. Francesca Mirabella è il guardiano silenzioso, di poche parole, che il caso, la necessità o altro, hanno posto....... sull'uscio della cucina a Ponte di Lanna. La sua delicatezza nei modi, nella scelta delle pietanze, la cura, la curiosità, la passione, la coerenza nell’abbinamento gastronomico mai affidato al caso, la rendono speciale proprio per la “distanza meditativa” e la competenza con cui interpreta il ruolo strategico. Questo è il suo regno. Il luogo dal quale potrà riflettere o rispondere a tutte le interrogazioni , di alimentazione macrobiotica, vegetariana o proteica, che le verranno poste.

lunedì 14 gennaio 2008

Appuntamenti



  • Ogni domenica bioagricoltura e meditazione nelle terre di Cuma. Per info: Francesca Mirabella 3381231959
  • Ogni venerdì, ore 19.30, "zazen" presso il Centro Shen.

La farmacia del dottor Yakushi

La sezione è in rifacimento;................ attende il ritorno del dottor Yakushi, in visita a Fudenji, per aprire i battenti del laboratorio medico. Par di capire...trattasi di medicina olistica ....strettamente omeopatica, avversativa di qualsiasi contaminazione allopatica....

Tutto nasce per una causa

Tutto nasce per una causa .... accenni, divagazioni, idee che si manifestano improvvise alla coscienza dopo una cena frugale tra meditanti. Il luogo è Monte di Procida a casa di Patrizia, panorama mozzafiato con vista sul mare, si festeggia, con due giorni di anticipo sul calendario astronomico, l’arrivo del nuovo anno. Tra un grappino alla ruta e un dolcetto fatto in casa, comodamente seduti in salotto dopo aver sorseggiato uno spumante e ascoltato del buon Jazz, si materializza al nostro cospetto, improvvisa, la metafora della lotta di classe. I suoi abiti non sono succinti, non odorano di terra, né sono lordati dal grasso colante della catena di montaggio, ma hanno, invece, lo stile accademico della speculazione filosofica ….ex cathedra …come se volessero rievocare i fasti culturali della dispersa tesi di Laurea di Pat..: “ Il diritto di un popolo alla rivoluzione “ ……….o auspicare, di riflesso, la pubblicazione sul blog del Romanzo d’Appendice - Dove siete fratelli guerrieri ? - da un’idea di Vincenzo Gengaku . Le due ispirazioni per il 2008 non cadono nel vuoto. Se l’Università di Urbino conserva, intatta, copia dell’agognata tesi, già la premessa postuma, introducendo la storia del genere letterario Ottocentesco, apre le porte allo statuto rivendicativo del romanzo di Crosio. Il lettore alla luce delle sue personali considerazioni, con l’ausilio del “commento” on line, potrà scambiare, già con la pubblicazione del Primo numero, opinioni e quant’altro direttamente con l’autore stesso. Come nella migliore tradizione del Romanzo d’Appendice.

Pasquale Del Giudice




Introduzione alla lettura del Romanzo d’Appendice

Cenni storici da “Google

Lettura consigliata a coloro che hanno la volontà e la curiosità di saperne di più.

Al suo primo apparire il romanzo d'appendice - pensato come espediente per ampliare il mercato informativo - deve l'immediato successo 'popolare' alle circostanze della pubblicazione (a puntate su fogli quotidiani che si prestano ad una lettura collettiva giorno dopo giorno) e, quindi, alla sua capacità di stabilire un orizzonte di attesa nel pubblico tale da condizionare in seguito l'autore, sia dal punto di vista del contenuto che della tecnica narrativa. Dovendo mantenere desta nel tempo l'aspettativa dei lettori, ogni puntata si doveva concludere, bene o male, dal punto di vista della coerenza narrativa, sull'orlo di un'attesa che sarebbe stata soddisfatta nella puntata successiva. Ma per comprendere meglio lo statuto del romanzo popolare, occorre ritornare alle vicende dell'archetipo del genere, Les mystères de Paris, e del suo autore. La prima puntata del romanzo apparve il 19 giugno 1842 in appendice al conservatore "Journal des Débats" proseguì fino al 15 ottobre dell'anno successivo, per un totale di 147 "appendici" (compensate in ragione di 180 franchi l'una). Durante la pubblicazione nonostante il "Journal “ fosse accusato in Parlamento di "far passeggiare da un anno i suoi lettori per le fogne parigine", Sue ricevette la Croce della Legione d'onore dal Ministro della Pubblica Istruzione. Eppure lo scrittore aveva iniziato controvoglia il proprio lavoro sulle "classi pericolose" della capitale. Si ricordi l'inizio del romanzo:" Tutti conoscono le mirabili pagine in cui Cooper ha descritto i feroci costumi dei selvaggi, …noi ora tenteremo di mettere il lettore di fronte ad alcuni episodi della vita di altri barbari. I barbari cui alludiamo sono fra noi: possiamo sfiorarli avventurandoci negli antri in cui vivono, ove s'incontrano per tramare l'omicidio e il furto e per poi spartirsi le spoglie delle loro vittime". L’autore era piuttosto esitante sul possibile esito dell'impresa. La risposta sarà prepotentemente affermativa. Come scrive lo storico e demografo Louis Chevalier: "Nonostante l'intenzione di Sue di scrivere un libro sulle classi pericolose, questo sarà il libro delle classi lavoratrici sin dall'inizio, e lo diventerà sempre più nettamente in seguito non tanto perché Sue cambi idea, quanto per una volontà collettiva che di puntata in puntata esige questo mutamento in maniera sempre più coercitiva". Dopo il colpo di stato di Napoleone lo scrittore si ritira in sdegnato esilio in Savoia, ad Annecy. Ma ormai I misteri di Parigi hanno inaugurato anche in Europa, con il "romanzo popolare", un capitolo nuovo nella storia della cultura letteraria e dell'editoria del secondo Ottocento. E se per Olivier e Martin il romanzo popolare diventa portavoce delle speranze, delle indignazioni, delle difese spesso discrete degli strati popolari, nel mettere in luce le rivendicazioni del popolo , concorrendo al compimento, verso il 1890, dei primi sforzi verso una giustizia sociale " di diverso avviso Marx e Engels e l'ipotesi formulata da Antonio Gramsci nei “Quaderni dal carcere” a proposito degli "eroi" della letteratura popolare che: "….quando sono entrati nella sfera della vita intellettuale popolare, si staccano dalla loro origine letteraria e acquistano una concretezza fiabesca particolare. “ Questa ipotesi spiega la sopravvivenza degli "eroi" anche quando le condizioni storiche siano mutate e la valenza ideologica dei romanzi in questione sia esaurita e continuano a funzionare egregiamente negli anni, per un pubblico passivo, alieno dalla riflessione critica quanto disposto alla proiezione fantastica. Fantasia ad occhi aperti che spesso assume l’idea di vendetta e punizione dei colpevoli per il male sopportato. Parole che trovano un'ulteriore conferma, all'inizio del nostro secolo, in una pagina del romanzo sociale La folla (1901) di Paolo Valera, dove si illustra la psicologia del lettore proletario: "Nelle domeniche e nelle giornatacce, Giuliano si dimenticava sulla seggiola vicino alla finestra o al focolare, a leggere il libro che gli avevano prestato o che aveva trovato sulle carriuole sotto i tendoni dei librivendoli di Sant'Ambrogio (...). Spesso si trovava in fondo al volume con le orecchie rosse e le guance accese, come se fosse giunto trafelato da un lungo viaggio a piedi. Era il soggetto che lo aveva commosso, che lo aveva fatto palpitare, che aveva uncinato e obbligato, a poco a poco, a partecipare alla storia che gli si svolgeva sotto gli occhi come spettatore. Certi personaggi, che subivano gli strazii della vita senza nome, gli facevano salire le lacrime dalle viscere e lo trattenevano lì, col libro in mano, a pensare alle sue riforme (...). Le pene dei tribolati dalla fortuna divenivano le sue pene e lo incitavano a dire parole maiuscole contro i persecutori". Se dalla emotività del lettore ingenuo risaliamo alle reazioni più scaltrite dei letterati e lettori di professione, sempre per quanto riguarda l'archetipo I misteri di Parigi, possiamo subito rilevare che il romanzo in Italia è discusso, accettato o respinto ai margini dell'incandescente contesto della questione sociale, come esempio di romanzo contemporaneo, contrapposto al romanzo storico. Molto significativa, in questo senso, la reazione diffidente di Alessandro Manzoni, tramandataci da Giuseppe Borri : “ La beneficenza, perché porti dei frutti veramente buoni, non può trarre la sua origine che dalla carità, ma non potrà mai trarla dalla filantropia, senza produrre con un bene piccolo ed istantaneo dei frutti amari per la felicità sociale".