domenica 23 dicembre 2007

Gemellaggio Associativo


Fraternità al Silicio tra l’Associazione Culturale “Centro Shen” in Napoli e il nascente gruppo zen Buddhakaya , all’ombra del Vulcano. Allo scambio dei rispettivi indirizzi e link, dei gemellati blog, correlati dal diario delle attività in programma, il nuovo anno saluterà la vicinanza logistica della

sede di meditazione zen in

Vico San Pietro a Maiella 6, Napoli.

Auspicando una lunga e proficua collaborazione tra le due associazioni

si estendono ai praticanti e ai simpatizzanti, tutti , gli

Auguri di Buon Natale
e

Felice Anno Nuovo

Il silenzio silente

A casa Gengaku la sveglia era una campanella che suonava verso le sette. Dopo qualche minuto eravamo tutti in piedi ed entravamo nella stanza sacra: la stanza della meditazione e ci obbligavamo al silenzio. Sul muro guardavo scorrere le immagini del mio pensiero che era inarrestabile, voleva parlare...poi mi sono ricordata che seguendo il respiro potevo aiutarmi nella ricerca della mia vacuità, non so se ci sia riuscita ma il respiro mi ha aiutato ad ascoltare, anche se solo per un attimo, il silenzio, il mio silenzio...sostenuto dal nostro silenzio. Lo stesso momento che ho provato la mattina di domenica nella passeggiata nel bosco, ho ascoltato la voce del vento che mi ha condotto a quel silenzio ed anche all'ora di pranzo mentre apparecchiavo la tavola. Ormai si poteva parlare ed io invece mi sono immersa nella mia sensazione di silenzio. Un silenzio che calma, che ti fa diventare testimone e gioire della fanciullezza dell'uomo che ha sempre bisogno di esprimere, esprimere... Ecco avrei preferito che il silenzio fosse rotto dopo il pranzo e non prima, trovo che il silenzio conviviale è uno dei momenti più sublimi. Trovo che ascoltare le proprie emozioni mentre si mangia è quasi una magia, soprattutto trovo che sentire la presenza di altri senza che ci sia suono che non somigli a quello di una posata che urta la ceramica del piatto sia un privilegio che solo pochi possono ancora sperimentare. La comunità era divertente, eravamo in otto, tre uomini e cinque donne, abbiamo praticato il “ci gong “e anche in questo caso ci siamo resi presenti. Attenzione, gridava la vocina mentre facevo l'esercizio dell'orangutan, battevo fortemente le mie mani sul petto e sulla pancia e sul corpo intero sentendo e lasciando che l'attenzione della mente si focalizzasse sul corpo. Il mio corpo può riportare l'attenzione al qui ed ora. Anche questo aiuta. Tra l'altro, l'attenzione al qui ed ora è il primo passo per raggiungere la vacuità. Osservare la cerimonia del tè ne è una prova. Ti rendi conto che la meditazione zen non si riduce alla postura zazen. la meditazione zen è tutto. E' un continuo rituale che permea la tua giornata, ed è attraverso il rituale che riesci a sottomettere il pensiero e a lenire le ferite del tuo cuore mortale, ed è attraverso il rituale che ti incontri con l'energia cosmica. Ma solo attraversando i luoghi dell'anima puoi raggiungere la calma della vacuità. E' un attimo ma quel silenzio non lo dimenticherai più. Per questo dico che pranzare in silenzio è un grande regalo che ci dovremmo fare! Baci, baci, baci

Patrizia Esposito

lunedì 8 ottobre 2007

Meditazione nel Parco Nazionale del Vesuvio

Caldera del Monte Somma e Gran Cono del Vesuvio:
un rapporto filiale, orografico, tutto da scoprire.


Quando:
Primavera del 2008
Partenza da Napoli ore 7.30.

Luogo dell’appuntamento:
prima uscita San Giuseppe Vesuviano, statale 268 da Napoli.

Come arrivare:
partendo da Pozzuoli, tangenziale direzione Napoli, dopo Capodimonte, uscita ( Corso Malta, Stazione Centrale, statale 268 Cercola Ottaviano). Appena fuori dal casello, 150 m., mantenete la destra, imboccate direzione Pomigliano d’Arco, Autostrade. Percorrete la super strada senza uscire, nei pressi di “Mira” imboccate a destra la strada per Cercola/Ottaviano, percorrete l’ampia curva, poi, seconda uscita: Ottaviano, San Giuseppe. Curva stretta in discesa. Siamo sulla statale 268. Sempre diritti, no uscita Autostrada. Dopo circa 20 minuti di percorrenza uscire alla prima indicazione per San Giuseppe Vesuviano. Appena sulla strada scorgerete la mia Modus grigio metallizzata.
Insieme si parte alla volta del “Padre Vesuvio”.

Cosa serve:
Colazioni al sacco, acqua, frutta. Asciugamano per il sudore (!). Scarpette ginniche e scarpe alte. Tuta o jeans. “Zafu” e coperta per meditare. Premunirsi per eventuali cambiamenti di temperatura.

Itinerario:
Meno di 3 ore .
Dopo aver parcheggiato le autovetture, quota 300 sul livello del mare, ci incamminiamo lungo la strada asfaltata che si inerpica lungo i costoni della montagna, tra pini e abeti. Nella parte finale, priva di vegetazione, la ripidità sfiora il 70%. E' la parte più difficile e difficoltosa. Poi una volta arrivati in cima alla caldera del Monte Somma ci attende, finalmente, la ricompensa ai nostri sforzi: possiamo ammirare, umili, il Gran Cono del Vesuvio nella sua immane potenza. La dimotrazione di forza lascia senza parole, sbigottiti e sorpresi. Abbandonato lo stupore ci avventuriamo, con estrema cautela, nella sottostante Valle dell’Inferno. Nella discesa è preferibile calzare scarpe alte. Nella vallata, radunati in un posto pianeggiante e sistemato il proprio zafu, Tonino declamerà "la Ginestra" di Leopardi, la vita e la bellezza che nascono dalla morte, e ......quant'altro di sua ispirazione. Poi due sessioni di “zazen”, di 2o minuti ciascuna riannodate dal "Kinhin", saranno dedicate al Vulcano; metafora delle pulsioni primitive presenti in noi.
Infine condivisione dell’esperienza: spazio alle parole e alle sensazioni vissute.

Curiosità:
La valle dell’Inferno, in località Ottaviano, separa il Monte Somma dal vulcano più giovane, il Vesuvio. E' invasa da diverse colate laviche; dalla più antica risalente al 1700 a quella più recente del 1911. Oggi è colonizzata solo dal lichene “Stereocaulon vesuvianum”. La solitudine, dunque, è assicurata. L’interesse per il luogo nasce dalla prospettiva particolarmente suggestiva dell’osservazione, dalla percezione orografica del rapporto padre / figlio presente in natura.

Pasquale Del Giudice

P.S.
Nella foto in alto si può ammirare un frequentatore assiduo di questi luoghi: l’upupa. Uccello caro al Foscolo dei “Sepolcri”.

domenica 7 ottobre 2007

....istruzioni per l'uso...













Lo studio di Dogen è uno dei tre

prerequisiti per realizzare
una corretta " Pratica della via".
Gli altri due?
Meditazione e lavoro.
Quest'ultimo ...naturalmente....
sorseggiato a piccole dosi.

Pasquale Del Giudice

L'oblio di sè

“L'oblio di sé” è l’esperienza meditativa empirica, fondante la “Pratica della via”, non riconducibile alle categorie intellettuali classiche da sempre ancorate all’accezione negativa e determinista del concetto. L'oblio, nel nostro lessico comune, è dimenticanza, buio, sonno della ragione, perdita del controllo, dunque, morte irreversibile dell’identità dell'essere che richiamando il vuoto, l’assenza, la vacuità, rimanda all’angosciosa idea della morte, alla fine irreversibile della vita. “Fine” che si realizza anche nella” Pratica meditativa” poiché pur sempre di morte si tratta. Morte del principio d'identità della mente, del "cogito ergo sum ", in nome di una nuova fiducia di altro, dell’ altrove, che ha a che fare con un " luogo" dove i conflitti dell'io sono privati della loro dirompente forza nella semplicità dell'osservatore che, osservando se stesso, li guarda con il respiro del corpo, e non giudicando, non separando, non esclude la verità “ dell' altro da sé” che, lentamente, si ricompone alla sua natura originaria. Nella perdita, spogliandosi di abiti e concetti mentali antichi, il meditante approda alla sorgente originaria della luce, dell'energia vitale, nella gioia di esserci, nella gioia di respirare. Nient'altro che essere parte del tutto. Semplicemente sedendo in "zazen", in sintonia con l'erba che cresce e con la terra che ci sostiene. E' una rivoluzione della riforma, una guerra senza violenza, combattuta con il ritmo del respiro, per convertire l'inconvertibile, per ricercare una via nella rinuncia stessa della ricerca. E il paradosso letterario disvela l'incomunicabilità verbale dell'esperienza, la necessità di anteporre l'azione al pensiero, il silenzio alla parola, il vuoto al pieno. Anteporre le ragioni reali del corpo a quelle virtuali e menzognere della mente.


Pasquale Del Giudice






sabato 6 ottobre 2007

Vivere lo zen sotto il Vulcano

Vivere sotto il vulcano, lo “sterminator Vesevo” di leopardiana memoria (Leopardi scrisse qui la Ginestra) non è facile. Non solo per i motivi consegnati quotidianamente alle cronache e che sono, come dire, la tradizione karmica poco onorevole dei Napoletani, ma perché il clima e la tradizione partenopea pongono dei limiti di comprensione a chi non conosce la cultura napoletana. Pasolini osò dire che è qui residuata l’ultima tribù nomade d’Occidente che fa resistenza attiva contro la modernità. Dunque l’arcaico in questi luoghi scaramantici è di casa, anzi è la casa dell’arcaico che spinge contro la soglia di una modernizzazione maldigerita. Il Vulcano è per i napoletani ciò che il Fujiama rappresenta per i Giapponesi. E la civiltà dell’aperto, dell’aria, dell’acqua, della terra e del fuoco, fa il clima e l’aria che si respira di questa città. Noi viviamo sopra una caldera sismica: una delle più pericolose al mondo. Non a caso il Vesuvio è un supervulcano che nei tempi storici ha prodotto il Golfo di Napoli, ha sterminato intere città e promosso, per un’estensione senza pari, da Nola ai Campi Flegrei, un’altra traccia vivente di una linea di fuoco che termina con l’Etna e con i Vulcani siciliani. Dunque impiantare la Tradizione Zen a Napoli, la tradizione del “Buddha Dharma” secondo l’insegnamento del Maestro Dogen, può essere rischioso, ma – secondo la mia opinione - è l’unica tradizione filosofica e religiosa che può salvare la Città. L’abisso per noi è l’equivalente della “Vacuità” , del “Sunyata”, del “Ku”. Si tratta, pertanto, di confrontarsi con la stratigrafia etnica e religiosa di una città esplosiva. Non è facile per nessuno, non è stato facile per Eduardo, per Viviani, per Totò, per Salvatore di Giacomo, per Leopardi, per Virgilio. L’ostilità e l’ospitalità sono i demoni protettori di questa terra. La maschera di Pulcinella non è quella del guitto ma quella del Cristo stesso. Le processioni sacre, San Gennaro, la città sotterranea, non sono altro che la manifestazione di questo Grande Dragone, l’Abisso infero di sotto il Vulcano, il lapillo, l’oceano omerico e la sirena Partenope. Lo zen a Napoli si innesta in questa grande e antica Tradizione. L’Associazione “BuddhaKaya” (il corpo della Beatitudine) è l’Associazione Zen che segue l’Insegnamento del maestro Dogen Zenji e della Soto Shu internazionale. Segue, inoltre, l’insegnamento del maestro F.Taiten Guareschi, abate del Monastero Zen di Fudenji, in Salsomaggiore Terme, disciplinatamente fedele al “Buddha Dharma Mahayana”, tradizione del Grande Veicolo. Fanno parte dell’Associazione, come nucleo coordinatore: Vincenzo Gengaku Crosio, Pasquale Del Giudice, Francesca Mirabella, Chiara Schiano, Anna Buono, Gabriele Miccio, Franca Rusciano. Siamo uomini e donne di buona volontà con grandi limiti ma con una grande speranza nel cuore. Le nostre pratiche le troverete in altra pagina.

Vincenzo Gengaku Crosio