domenica 20 gennaio 2008

Un sogno per Napoli



L'inizio del nuovo anno mi ha regalato un libro, un libro di Daisaku Ikeda il fondatore della Soka Gakkai... il libro è una fiaba si intitola: “ I tesori di Dunhuang”. Sono stata a Dunhuang nel 1992 quando un mio amico filomaoista dirottò il nostro viaggio extraeuropeo dal Madagascar alla Cina. Decidemmo di fare così la via della seta, quella che da Kashgar giunge sino a Xian, la città dell'esercito di terracotta. Non avevo assolutamente idea di cosa fosse il buddismo,allora. Forse avevo letto qualche aforisma di Ghandi a proposito di esso ma sinceramente... nella fredda e ortogonale città di Milano in cui allora vivevo, non rientrava nei miei propositi praticarlo. E incontrai la via del Budda sulla via della seta nella lontana Cina. La fiaba racconta la storia di un bambino che sogna di finire in un altro stato della Cina a scoprire nuove realtà, per l'appunto lo Xingjan, dove si trova Dunhuang. Lui sogna di finire in pieno deserto del Gobi e di incontrarvi un vecchio che disperatamente e immancabilmente cerca di proteggere il castello della città cercando di costruirvi delle mura, solo che lo deve fare con la sabbia e la sabbia è difficile da impastare e incollare. Lui vuole proteggere il castello dal vento e dalla sabbia stessa che con la sua sottigliezza si insinua e nasconde ogni cosa. Il bambino allora lo aiuta, vuole imparare a proteggere anche lui qualcosa di prezioso e soprattutto imparare da quel vecchio saggio. Il castello conteneva dei tesori inestimabili, grotte piene di affreschi sulla vita del Budda e situazioni di beatitudine, una natura inviolata e iridescente che solo le tecniche di pittura cinese sanno rendere. Dicevo, sono stata a Dunghuang non esiste alcun castello, esiste una valle enorme in cui lungo la strada sono disposti in fila templi della fattezza delle pagode cinesi altissimi, in ognuno di essi è una luminescenza di arte, storia e sapienza. Ricordo, di essere entrata in uno di essi, il più alto per l'appunto, uno di quelli che se fosse un palazzo lo descriveresti di dieci o quindici piani, e mi sono scontrata, dopo aver accettato il buio, con l'alluce di un Budda gigantesco. Un particolare che inizialmente non mi diceva niente, continuavo a ripetere tra me e me, "... e che c'è qua dentro, niente!" poi improvvisamente una folgorazione, riconobbi l'alluce ed alzai gli occhi al cielo verso quel gigantesco Budda che sorridente ci guardava dall'alto. Le grotte invece sono a BezeliK vicino Turfan, una cittadina a 180 m. al di sotto del livello del mare, in pieno deserto sabbioso, le grotte, monastero di monaci che sceglievano la solitudine più assoluta, un tempo dovevano essere ricche di affreschi, ma ormai dopo il 1800 erano state spogliate da essi, perché un tedesco archeologo le aveva scoperte. Gli affreschi infatti si possono trovare al museo etnologico a Berlino, ho avuto il piacere di vedere anche questi. La favola però non finisce così, il bambino e il vecchio riescono a mischiare un'acqua che miracolosamente sgorga dal deserto con la sabbia, e creare dei piccoli mattoni di fango per farne un muro. Il vecchio con la sua logica riesce anche a dissuadere un condottiero del deserto che trovandosi da quelle parti e comprendendo il valore degli affreschi, vuole staccarne qualcuno e portarselo via. Gli dice che ogni scena racconta una parte della vita del Budda e che siccome sono più di 450 dovrà portarli via tutti. O tutti o nessuno. Il condottiero desiste e lascia intatto il tesoro del castello di Dunhuang. Mi sono chiesta come mai il mio nuovo anno è cominciato con questa favola, ora che mi sforzo di praticare la meditazione. E allora ho pensato alla mia amata e odiata città. Il nuovo anno è cominciato con un'altra crisi spazzatura e la città è devastata, la gente è rassegnata o inviperita, e l'atmosfera che si respira è inquinata sotto tutti i punti di vista, ambientale e non. Cerco di andare avanti e spero anche io di trovare un modo per difendere questa città esplosiva, vulcanica, fremente, un modo che sia fluente dove le ombre e le luci si accarezzano più che combattersi, ho anch'io un sogno, un sogno di pace e di dignità per la mia città.
Baci a Pasqualotto

Patrizia Esposito

…c’è bisogno di qualità di uomini e donne, lontano dai riflettori…….



Carissimi, quello che si bisbiglia ormai nella nostra regione è ... "letame"... tutti parlano accusandosi l'uno con l'altro e nessuno agisce... la città è devastata, spezzata, blindata, separata da frontiere invisibili che ha chiuso nel proprio 'recinto' tutte le persone, quelli che hanno la fortuna di abitare in quartieri puliti e privi di spazzatura non comprendono gli altri... è la società di classe e forse potremmo dire di casta che in questo degrado e in questa desolazione viene illuminata prepotentemente. E questa devastazione della comunicazione, della comprensione e della solidarietà mi ferisce ancora di più della spazzatura per la strada. Sento che è un momento di grande crisi epocale, che la regressione che stiamo vivendo è addirittura di quattrocento anni quando nel seicento a Napoli, come pure in altre città venivano perpetrati misfatti di ogni genere... Qui tutti stanno impazzendo, la rabbia accumulata esplode improvvisamente, anche perché la camorra che è il male endemico e oscuro della nostra regione sa come usare la rabbia della gente... La risposta delle Istituzioni è polizia, arresti, procedimenti con rito abbreviato su tutti indiscriminatamente, oppure ricovero al reparto crisi dei Centri di igiene mentale con uso massiccio di psicofarmaci... nessuno pensa che se la popolazione manifesta un disagio, esiste una ragione ben precisa, e questa ragione è il degrado ambientale, civile e morale. La mia amica buddista di Roma mi dice che la situazione non solo in Campania ma in Italia è preoccupante aggiungendo che c'è bisogno di qualità di uomini e donne lontano dai riflettori... le rispondo che non so più dove cercare le mie qualità... riesco solo a vedere lo smarrimento sempre più profondo, negli occhi dei miei alunni e in cui, mi smarrisco anche io... Lei che ha una fede più grande della mia sottolinea che anche questa è una qualità perché saper vedere lo smarrimento è una 'qualità' poco illuminata al giorno d'oggi. Dobbiamo allora illuminare tutte quelle parti del corpo di beatitudine che ferocemente vogliono oscurarci... ed io che lavoro con gli adolescenti ho una bella opportunità per questo, mi chiedo che cosa intendo fare, e sento che il mio cuore mi risponde: “ infondi più speranza...” Non bisogna mai perdere la speranza che la giustizia trionfi mi disse un giorno di dieci anni fa una psicoterapeuta, ed io infatti cerco di non perderla, mi aggrappo a tutto, alla poesia, alla bellezza panoramica che vedo dal mio balcone, alle piccole ritualità quotidiane, alla meditazione con il gruppo, a questa opportunità che mi è stata data di comunicare con voi attraverso questo mezzo, solo così riesco a placare il mio furore che è immenso per quanto io ami la mia città. Come asserisce Illman " Più grande è il nostro deserto, più grande deve essere il nostro furore, e quel furore è amore".
Vi abbraccio tutti

Patrizia Esposito

L’incomunicabilità della comunicazione........

Una comunicazione emotiva che abbandoni l’angoscia di voler comunicare a tutti i costi è una buona notizia anche perché la difformità del messaggio semantico è una possibilità sempre in agguato tra mondi vitali in relazione. Solo quando l’insight emotivo, legandosi alla parola, si manifesta alla percezione intuitiva della coscienza illuminandola della comprensione profonda di un evento accade il cambiamento indotto dall'incontro realizzato. L’esperienza resta nell’orizzonte delle attese. La madre che prepara l’avvento, la fioritura del pesco, è la “Pratica Meditativa”, attraverso misteriosi percorsi di ricognizione e di riorganizzazione sistemica cerebrale. La parola, invece, rivela i suoi limiti proprio quando eccede nella verbalizzazione, quando vuol far tutto da sola proprio in ciò che da sola non può infondere senza il contributo dell'energia.
Ma la vibrazione energetica non ama la loquacità delle argomentazioni, gradisce, invece, momenti, luoghi inusitati, parole sussurrate, metafore e metonimie colorite, per sciogliere un intreccio edipico, un rapporto di possesso, attraverso il risuonare del verbo nel cuore dell’altro, corde tese sulla stessa frequenza di senso. L’ottimizzazione sistemica è completata, poi, dalla fiera postura in “zazen”, nel respiro che realizza la consapevole riflessività della mente. Lentamente, la Pratica quotidiana trasforma la relazione con l’ambiente, avvertito come realtà fenomenica e non come verità oggettiva esterno all’osservatore, ripulendolo dalla menzogna proiettiva della paura. Il dolore dell’anima diventa il vero protagonista della ricerca del “” nella prospettiva salvifica dell’ordine cosmico. Col tempo si strutturano modificazioni profonde, autopoietiche, costituendo legami sinaptici fondamentali per le future riflessioni sistemiche. I contorni solidi dell’individualità si dissolvono e le sensazioni della limitatezza non ci opprime più. La scultura è a levare, a perdere informazioni, a liberarsi dalle antinomie culturali di decenni per far risplendere l’armonia dell’opera d’arte già insita nella natura stessa dell’uomo. Il “salto mortale di prospettiva” rimane un “evento”, un processo non pianificabile , né riproducibile, ma affidato al mistero della trasformazione a spirale. Nulla è dato sapere. Nulla è dato anticipare, quando, come, in che modo e con quali mezzi un nodo gordiano si scioglierà nel profondo. Solo il conforto della Pratica e il suo lavoro di purificazione, delicato e potente, ci rinfranca l’attesa.

Pasquale Del Giudice

martedì 15 gennaio 2008

Francesca Mirabella: un guardiano silente a "Ponte di Lanna"


Se il cibo rappresenta un elemento di conflitto in seno al gruppo, la storicizzazione della contesa serve a capire la centralità dell’alimentazione nella nostra cultura e la causa degli eccessi devianti che si manifestano negli inestetismi del corpo e …della mente. Francesca Mirabella è il guardiano silenzioso, di poche parole, che il caso, la necessità o altro, hanno posto....... sull'uscio della cucina a Ponte di Lanna. La sua delicatezza nei modi, nella scelta delle pietanze, la cura, la curiosità, la passione, la coerenza nell’abbinamento gastronomico mai affidato al caso, la rendono speciale proprio per la “distanza meditativa” e la competenza con cui interpreta il ruolo strategico. Questo è il suo regno. Il luogo dal quale potrà riflettere o rispondere a tutte le interrogazioni , di alimentazione macrobiotica, vegetariana o proteica, che le verranno poste.

lunedì 14 gennaio 2008

Appuntamenti



  • Ogni domenica bioagricoltura e meditazione nelle terre di Cuma. Per info: Francesca Mirabella 3381231959
  • Ogni venerdì, ore 19.30, "zazen" presso il Centro Shen.

La farmacia del dottor Yakushi

La sezione è in rifacimento;................ attende il ritorno del dottor Yakushi, in visita a Fudenji, per aprire i battenti del laboratorio medico. Par di capire...trattasi di medicina olistica ....strettamente omeopatica, avversativa di qualsiasi contaminazione allopatica....

Tutto nasce per una causa

Tutto nasce per una causa .... accenni, divagazioni, idee che si manifestano improvvise alla coscienza dopo una cena frugale tra meditanti. Il luogo è Monte di Procida a casa di Patrizia, panorama mozzafiato con vista sul mare, si festeggia, con due giorni di anticipo sul calendario astronomico, l’arrivo del nuovo anno. Tra un grappino alla ruta e un dolcetto fatto in casa, comodamente seduti in salotto dopo aver sorseggiato uno spumante e ascoltato del buon Jazz, si materializza al nostro cospetto, improvvisa, la metafora della lotta di classe. I suoi abiti non sono succinti, non odorano di terra, né sono lordati dal grasso colante della catena di montaggio, ma hanno, invece, lo stile accademico della speculazione filosofica ….ex cathedra …come se volessero rievocare i fasti culturali della dispersa tesi di Laurea di Pat..: “ Il diritto di un popolo alla rivoluzione “ ……….o auspicare, di riflesso, la pubblicazione sul blog del Romanzo d’Appendice - Dove siete fratelli guerrieri ? - da un’idea di Vincenzo Gengaku . Le due ispirazioni per il 2008 non cadono nel vuoto. Se l’Università di Urbino conserva, intatta, copia dell’agognata tesi, già la premessa postuma, introducendo la storia del genere letterario Ottocentesco, apre le porte allo statuto rivendicativo del romanzo di Crosio. Il lettore alla luce delle sue personali considerazioni, con l’ausilio del “commento” on line, potrà scambiare, già con la pubblicazione del Primo numero, opinioni e quant’altro direttamente con l’autore stesso. Come nella migliore tradizione del Romanzo d’Appendice.

Pasquale Del Giudice




Introduzione alla lettura del Romanzo d’Appendice

Cenni storici da “Google

Lettura consigliata a coloro che hanno la volontà e la curiosità di saperne di più.

Al suo primo apparire il romanzo d'appendice - pensato come espediente per ampliare il mercato informativo - deve l'immediato successo 'popolare' alle circostanze della pubblicazione (a puntate su fogli quotidiani che si prestano ad una lettura collettiva giorno dopo giorno) e, quindi, alla sua capacità di stabilire un orizzonte di attesa nel pubblico tale da condizionare in seguito l'autore, sia dal punto di vista del contenuto che della tecnica narrativa. Dovendo mantenere desta nel tempo l'aspettativa dei lettori, ogni puntata si doveva concludere, bene o male, dal punto di vista della coerenza narrativa, sull'orlo di un'attesa che sarebbe stata soddisfatta nella puntata successiva. Ma per comprendere meglio lo statuto del romanzo popolare, occorre ritornare alle vicende dell'archetipo del genere, Les mystères de Paris, e del suo autore. La prima puntata del romanzo apparve il 19 giugno 1842 in appendice al conservatore "Journal des Débats" proseguì fino al 15 ottobre dell'anno successivo, per un totale di 147 "appendici" (compensate in ragione di 180 franchi l'una). Durante la pubblicazione nonostante il "Journal “ fosse accusato in Parlamento di "far passeggiare da un anno i suoi lettori per le fogne parigine", Sue ricevette la Croce della Legione d'onore dal Ministro della Pubblica Istruzione. Eppure lo scrittore aveva iniziato controvoglia il proprio lavoro sulle "classi pericolose" della capitale. Si ricordi l'inizio del romanzo:" Tutti conoscono le mirabili pagine in cui Cooper ha descritto i feroci costumi dei selvaggi, …noi ora tenteremo di mettere il lettore di fronte ad alcuni episodi della vita di altri barbari. I barbari cui alludiamo sono fra noi: possiamo sfiorarli avventurandoci negli antri in cui vivono, ove s'incontrano per tramare l'omicidio e il furto e per poi spartirsi le spoglie delle loro vittime". L’autore era piuttosto esitante sul possibile esito dell'impresa. La risposta sarà prepotentemente affermativa. Come scrive lo storico e demografo Louis Chevalier: "Nonostante l'intenzione di Sue di scrivere un libro sulle classi pericolose, questo sarà il libro delle classi lavoratrici sin dall'inizio, e lo diventerà sempre più nettamente in seguito non tanto perché Sue cambi idea, quanto per una volontà collettiva che di puntata in puntata esige questo mutamento in maniera sempre più coercitiva". Dopo il colpo di stato di Napoleone lo scrittore si ritira in sdegnato esilio in Savoia, ad Annecy. Ma ormai I misteri di Parigi hanno inaugurato anche in Europa, con il "romanzo popolare", un capitolo nuovo nella storia della cultura letteraria e dell'editoria del secondo Ottocento. E se per Olivier e Martin il romanzo popolare diventa portavoce delle speranze, delle indignazioni, delle difese spesso discrete degli strati popolari, nel mettere in luce le rivendicazioni del popolo , concorrendo al compimento, verso il 1890, dei primi sforzi verso una giustizia sociale " di diverso avviso Marx e Engels e l'ipotesi formulata da Antonio Gramsci nei “Quaderni dal carcere” a proposito degli "eroi" della letteratura popolare che: "….quando sono entrati nella sfera della vita intellettuale popolare, si staccano dalla loro origine letteraria e acquistano una concretezza fiabesca particolare. “ Questa ipotesi spiega la sopravvivenza degli "eroi" anche quando le condizioni storiche siano mutate e la valenza ideologica dei romanzi in questione sia esaurita e continuano a funzionare egregiamente negli anni, per un pubblico passivo, alieno dalla riflessione critica quanto disposto alla proiezione fantastica. Fantasia ad occhi aperti che spesso assume l’idea di vendetta e punizione dei colpevoli per il male sopportato. Parole che trovano un'ulteriore conferma, all'inizio del nostro secolo, in una pagina del romanzo sociale La folla (1901) di Paolo Valera, dove si illustra la psicologia del lettore proletario: "Nelle domeniche e nelle giornatacce, Giuliano si dimenticava sulla seggiola vicino alla finestra o al focolare, a leggere il libro che gli avevano prestato o che aveva trovato sulle carriuole sotto i tendoni dei librivendoli di Sant'Ambrogio (...). Spesso si trovava in fondo al volume con le orecchie rosse e le guance accese, come se fosse giunto trafelato da un lungo viaggio a piedi. Era il soggetto che lo aveva commosso, che lo aveva fatto palpitare, che aveva uncinato e obbligato, a poco a poco, a partecipare alla storia che gli si svolgeva sotto gli occhi come spettatore. Certi personaggi, che subivano gli strazii della vita senza nome, gli facevano salire le lacrime dalle viscere e lo trattenevano lì, col libro in mano, a pensare alle sue riforme (...). Le pene dei tribolati dalla fortuna divenivano le sue pene e lo incitavano a dire parole maiuscole contro i persecutori". Se dalla emotività del lettore ingenuo risaliamo alle reazioni più scaltrite dei letterati e lettori di professione, sempre per quanto riguarda l'archetipo I misteri di Parigi, possiamo subito rilevare che il romanzo in Italia è discusso, accettato o respinto ai margini dell'incandescente contesto della questione sociale, come esempio di romanzo contemporaneo, contrapposto al romanzo storico. Molto significativa, in questo senso, la reazione diffidente di Alessandro Manzoni, tramandataci da Giuseppe Borri : “ La beneficenza, perché porti dei frutti veramente buoni, non può trarre la sua origine che dalla carità, ma non potrà mai trarla dalla filantropia, senza produrre con un bene piccolo ed istantaneo dei frutti amari per la felicità sociale".