lunedì 8 ottobre 2007

Meditazione nel Parco Nazionale del Vesuvio

Caldera del Monte Somma e Gran Cono del Vesuvio:
un rapporto filiale, orografico, tutto da scoprire.


Quando:
Primavera del 2008
Partenza da Napoli ore 7.30.

Luogo dell’appuntamento:
prima uscita San Giuseppe Vesuviano, statale 268 da Napoli.

Come arrivare:
partendo da Pozzuoli, tangenziale direzione Napoli, dopo Capodimonte, uscita ( Corso Malta, Stazione Centrale, statale 268 Cercola Ottaviano). Appena fuori dal casello, 150 m., mantenete la destra, imboccate direzione Pomigliano d’Arco, Autostrade. Percorrete la super strada senza uscire, nei pressi di “Mira” imboccate a destra la strada per Cercola/Ottaviano, percorrete l’ampia curva, poi, seconda uscita: Ottaviano, San Giuseppe. Curva stretta in discesa. Siamo sulla statale 268. Sempre diritti, no uscita Autostrada. Dopo circa 20 minuti di percorrenza uscire alla prima indicazione per San Giuseppe Vesuviano. Appena sulla strada scorgerete la mia Modus grigio metallizzata.
Insieme si parte alla volta del “Padre Vesuvio”.

Cosa serve:
Colazioni al sacco, acqua, frutta. Asciugamano per il sudore (!). Scarpette ginniche e scarpe alte. Tuta o jeans. “Zafu” e coperta per meditare. Premunirsi per eventuali cambiamenti di temperatura.

Itinerario:
Meno di 3 ore .
Dopo aver parcheggiato le autovetture, quota 300 sul livello del mare, ci incamminiamo lungo la strada asfaltata che si inerpica lungo i costoni della montagna, tra pini e abeti. Nella parte finale, priva di vegetazione, la ripidità sfiora il 70%. E' la parte più difficile e difficoltosa. Poi una volta arrivati in cima alla caldera del Monte Somma ci attende, finalmente, la ricompensa ai nostri sforzi: possiamo ammirare, umili, il Gran Cono del Vesuvio nella sua immane potenza. La dimotrazione di forza lascia senza parole, sbigottiti e sorpresi. Abbandonato lo stupore ci avventuriamo, con estrema cautela, nella sottostante Valle dell’Inferno. Nella discesa è preferibile calzare scarpe alte. Nella vallata, radunati in un posto pianeggiante e sistemato il proprio zafu, Tonino declamerà "la Ginestra" di Leopardi, la vita e la bellezza che nascono dalla morte, e ......quant'altro di sua ispirazione. Poi due sessioni di “zazen”, di 2o minuti ciascuna riannodate dal "Kinhin", saranno dedicate al Vulcano; metafora delle pulsioni primitive presenti in noi.
Infine condivisione dell’esperienza: spazio alle parole e alle sensazioni vissute.

Curiosità:
La valle dell’Inferno, in località Ottaviano, separa il Monte Somma dal vulcano più giovane, il Vesuvio. E' invasa da diverse colate laviche; dalla più antica risalente al 1700 a quella più recente del 1911. Oggi è colonizzata solo dal lichene “Stereocaulon vesuvianum”. La solitudine, dunque, è assicurata. L’interesse per il luogo nasce dalla prospettiva particolarmente suggestiva dell’osservazione, dalla percezione orografica del rapporto padre / figlio presente in natura.

Pasquale Del Giudice

P.S.
Nella foto in alto si può ammirare un frequentatore assiduo di questi luoghi: l’upupa. Uccello caro al Foscolo dei “Sepolcri”.

domenica 7 ottobre 2007

....istruzioni per l'uso...













Lo studio di Dogen è uno dei tre

prerequisiti per realizzare
una corretta " Pratica della via".
Gli altri due?
Meditazione e lavoro.
Quest'ultimo ...naturalmente....
sorseggiato a piccole dosi.

Pasquale Del Giudice

L'oblio di sè

“L'oblio di sé” è l’esperienza meditativa empirica, fondante la “Pratica della via”, non riconducibile alle categorie intellettuali classiche da sempre ancorate all’accezione negativa e determinista del concetto. L'oblio, nel nostro lessico comune, è dimenticanza, buio, sonno della ragione, perdita del controllo, dunque, morte irreversibile dell’identità dell'essere che richiamando il vuoto, l’assenza, la vacuità, rimanda all’angosciosa idea della morte, alla fine irreversibile della vita. “Fine” che si realizza anche nella” Pratica meditativa” poiché pur sempre di morte si tratta. Morte del principio d'identità della mente, del "cogito ergo sum ", in nome di una nuova fiducia di altro, dell’ altrove, che ha a che fare con un " luogo" dove i conflitti dell'io sono privati della loro dirompente forza nella semplicità dell'osservatore che, osservando se stesso, li guarda con il respiro del corpo, e non giudicando, non separando, non esclude la verità “ dell' altro da sé” che, lentamente, si ricompone alla sua natura originaria. Nella perdita, spogliandosi di abiti e concetti mentali antichi, il meditante approda alla sorgente originaria della luce, dell'energia vitale, nella gioia di esserci, nella gioia di respirare. Nient'altro che essere parte del tutto. Semplicemente sedendo in "zazen", in sintonia con l'erba che cresce e con la terra che ci sostiene. E' una rivoluzione della riforma, una guerra senza violenza, combattuta con il ritmo del respiro, per convertire l'inconvertibile, per ricercare una via nella rinuncia stessa della ricerca. E il paradosso letterario disvela l'incomunicabilità verbale dell'esperienza, la necessità di anteporre l'azione al pensiero, il silenzio alla parola, il vuoto al pieno. Anteporre le ragioni reali del corpo a quelle virtuali e menzognere della mente.


Pasquale Del Giudice






sabato 6 ottobre 2007

Vivere lo zen sotto il Vulcano

Vivere sotto il vulcano, lo “sterminator Vesevo” di leopardiana memoria (Leopardi scrisse qui la Ginestra) non è facile. Non solo per i motivi consegnati quotidianamente alle cronache e che sono, come dire, la tradizione karmica poco onorevole dei Napoletani, ma perché il clima e la tradizione partenopea pongono dei limiti di comprensione a chi non conosce la cultura napoletana. Pasolini osò dire che è qui residuata l’ultima tribù nomade d’Occidente che fa resistenza attiva contro la modernità. Dunque l’arcaico in questi luoghi scaramantici è di casa, anzi è la casa dell’arcaico che spinge contro la soglia di una modernizzazione maldigerita. Il Vulcano è per i napoletani ciò che il Fujiama rappresenta per i Giapponesi. E la civiltà dell’aperto, dell’aria, dell’acqua, della terra e del fuoco, fa il clima e l’aria che si respira di questa città. Noi viviamo sopra una caldera sismica: una delle più pericolose al mondo. Non a caso il Vesuvio è un supervulcano che nei tempi storici ha prodotto il Golfo di Napoli, ha sterminato intere città e promosso, per un’estensione senza pari, da Nola ai Campi Flegrei, un’altra traccia vivente di una linea di fuoco che termina con l’Etna e con i Vulcani siciliani. Dunque impiantare la Tradizione Zen a Napoli, la tradizione del “Buddha Dharma” secondo l’insegnamento del Maestro Dogen, può essere rischioso, ma – secondo la mia opinione - è l’unica tradizione filosofica e religiosa che può salvare la Città. L’abisso per noi è l’equivalente della “Vacuità” , del “Sunyata”, del “Ku”. Si tratta, pertanto, di confrontarsi con la stratigrafia etnica e religiosa di una città esplosiva. Non è facile per nessuno, non è stato facile per Eduardo, per Viviani, per Totò, per Salvatore di Giacomo, per Leopardi, per Virgilio. L’ostilità e l’ospitalità sono i demoni protettori di questa terra. La maschera di Pulcinella non è quella del guitto ma quella del Cristo stesso. Le processioni sacre, San Gennaro, la città sotterranea, non sono altro che la manifestazione di questo Grande Dragone, l’Abisso infero di sotto il Vulcano, il lapillo, l’oceano omerico e la sirena Partenope. Lo zen a Napoli si innesta in questa grande e antica Tradizione. L’Associazione “BuddhaKaya” (il corpo della Beatitudine) è l’Associazione Zen che segue l’Insegnamento del maestro Dogen Zenji e della Soto Shu internazionale. Segue, inoltre, l’insegnamento del maestro F.Taiten Guareschi, abate del Monastero Zen di Fudenji, in Salsomaggiore Terme, disciplinatamente fedele al “Buddha Dharma Mahayana”, tradizione del Grande Veicolo. Fanno parte dell’Associazione, come nucleo coordinatore: Vincenzo Gengaku Crosio, Pasquale Del Giudice, Francesca Mirabella, Chiara Schiano, Anna Buono, Gabriele Miccio, Franca Rusciano. Siamo uomini e donne di buona volontà con grandi limiti ma con una grande speranza nel cuore. Le nostre pratiche le troverete in altra pagina.

Vincenzo Gengaku Crosio